Tremate, tremate, le trad wives son tornate

Cosa ci suggerisce il movimento delle mogli tradizionali.

Caterina Fassina

10/28/20255 min read

La prima volta che ho sentito parlare di tradwife, moglie tradizionale, è stata quattro anni fa in un episodio della serie Stacey Sleeps Over della filmmaker inglese Stacey Dooley. Stacey doveva trascorrere un weekend in casa di Felipe e Lilian Sediles. Lilian era stata femminista finché non aveva conosciuto suo marito. Dopo il matrimonio aveva lasciato un posto di lavoro prestigioso per fare la madre. Lilian poneva questa scelta in diretta opposizione al femminismo. Non capivo come mai dato che il femminismo lotta per la libertà di scelta delle donne e non per il lavoro femminile in quanto lavoro. Per quello esistono i sindacati. Quando ho visto suo marito Felipe dirle come vestirsi, ho messo insieme i pezzi del puzzle. Quello stesso weekend i due coniugi avrebbero rinnovato le promesse di matrimonio e avevano chiesto espressamente al prete di recitare la formula antica dove la sposa, solo lei, promette di obbedire. Non si usa più dagli anni Sessanta perché il Concilio Vaticano II l’ha ritenuta incompatibile con l’idea di uguaglianza tra coniugi. Felipe e Lilian però si sentivano nostalgici di un tempo in cui si crepava di tifo.

Questo loro modo di intendere la famiglia coinvolgeva anche i figli, costretti a camminare con una roccia sulla schiena se durante la settimana non si erano comportati bene. Figli homeschooled quindi educati in casa dalla madre, senza alcuna preparazione in merito, e privati della socializzazione secondaria necessaria per il loro sviluppo psicosociale.

Lilian era una delle prime esponenti di questo movimento. Ora il mio algoritmo su Instagram mi propone ogni tanto alcuni dei loro video per verificare se io sia ancora interessata alla mia emancipazione. Purtroppo i miei genitori mi hanno fatta femminista, ma grazie a Zuckerberg mi capita spesso di vedere mie coetanee (tra i 20 e i 30 anni) con grembiule, pattine e figli appesi addosso mentre io cazzeggio sui social.

Pioniera – potremmo definirla teorica – di questo movimento è Alena Kate Pettitt, che nel 2020 viene intervistata da BBC News grazie al proprio blog, dove condivide consigli e teorie sul ruolo sociale e domestico delle mogli. Dalle sue considerazioni iniziali però il movimento si è espanso e lei stessa oggi se ne discosta.

Attualmente le due principali esponenti social di questo movimento Made in Usa sono Nara Smith, che ha appena compiuto 24 anni e ha sfornato il quartogenito, e Hannah Neeleman, che invece di anni ne ha 35 e di figli 8. Addentrandosi in questo mondo appare chiaro che ufficiosamente esista una gara all’utero più resistente.

Sono donne che scelgono liberamente di vivere il matrimonio, educazione dei figli compresa, rispettando i ruoli di genere tradizionali. Dato che questi fantomatici ruoli di genere tradizionali non esistono – ogni epoca e ogni luogo ha i propri –, dobbiamo specificare che per loro significa il modello di famiglia nucleare degli Stati Uniti degli anni Cinquanta. I suoi capisaldi sono: la cura della casa e di chi ci abita, la sottomissione al pater familias, l’educazione dei figli e l’abbandono di un lavoro retribuito (sappiamo che il lavoro domestico è lavoro non retribuito). Questi pilastri sono conditi con un’estetica vintage perché va bene il salto nel passato, ma viviamo comunque in una società fondata sulle immagini. Ecco quindi queste madri sempre magre, tirate a lucido, con gonne a campana dai colori pastello, trucco minimal e tacchi modesti. Mai un capello fuori posto.

A essere oneste, questi ruoli tradizionali non sono nemmeno mai esistiti negli anni Cinquanta. Il movimento delle trad wives si basa su un’immagine diffusa nella cultura popolare statunitense dopo la Seconda Guerra Mondiale. Durante la guerra, così come in ogni guerra, le donne avevano dovuto cercarsi un lavoro per mangiare e sostituire la forza lavoro maschile impegnata al fronte. Una volta tornati, i soldati superstiti si sono ripresi i propri posti di lavoro e occorreva sostituire quelli morti con nuovi bambini. Sicché le donne bianche appartenenti alla piccola borghesia erano state bombardate da queste immagini che promettevano una realtà, non la descrivevano.

Esattamente come la promettono le creators sui social, che sono in realtà imprenditrici di successo che usano molteplici babysitters per tenere a bada i marmocchi mentre loro registrano il video della ricetta per il pane fatto in casa. Sono mezzi di propaganda esteticamente piacenti, cartelloni pubblicitari gratuiti per le ideologie dell'estrema destra cristiana, quella trumpiana soprattutto, che predica il ritorno della famiglia tradizionale (un idealtipo) per poi affidarsi alle cure di un uomo succube di Jeffrey Epstein. Paradossalmente Donald Trump rispecchia i ruoli di genere negli anni Cinquanta con maggiore accuratezza delle trad wives: molti figli, marito infedele, egomania.

Cosa ci suggerisce però il successo di questo movimento? Le trad wives sono l’espressione più pura del fallimento della divisione dei compiti di cura. Storicamente sono sempre ricaduti sulla donna per il banale fatto che, portando a termine una gravidanza e allattando, si prende da subito cura in modo carnale della prole. Il padre subentra in un secondo momento e quindi si può permettere di uscire di casa per cacciare nei boschi, mentre la donna deve stare in cucina per nutrire se stessa e il bambino. Anche per questo motivo si occupava del raccolto, dell’orto. Non ci sarebbe nulla di male in questa divisione di per sé perché nasce da necessità biologiche. Variano di donna in donna, ma è chiaro che non si possono rincorrere i cervi sanguinando ancora dopo il parto perché si sviene. Il problema è che quando la civiltà si è evoluta queste necessità biologiche si sono trasformate in caratteristiche incontrovertibili e quindi in una gabbia.

Quando si sono diffuse le idee femministe di emancipazione, si è chiesto che le donne avessero le stesse opportunità degli uomini. Non solo nel lavoro, come spesso si crede. Il femminismo nell'Italia degli anni Settanta chiedeva che venisse riconosciuta alle madri la patria potestà sui figli.
Ci si è però dimenticate di chiedere che anche gli uomini ricevessero nuove opportunità. Le donne hanno quindi ottenuto sì l’ingresso a nuove professioni – non abbiamo certo ancora le stesse retribuzioni –, ma queste nuove opportunità si sono sommate alle altre che già avevamo. L’opportunità di rendere la casa un posto accogliente e sano per le persone che si amano, quella di nutrire i propri figli, di seguire il loro sviluppo emotivo, di dedicare tempo alla coppia e alla cura degli anziani: sono tutte opportunità che all’uomo non sono state chieste.

A entrambi i generi vengono invece proposte come doveri, compiti che intralciano la propria realizzazione. Ovvio che gli uomini facciano di tutto per evitarli. E quindi, come dalla notte dei tempi, il cosiddetto lavoro di cura continua a ricadere sulle donne, che però oggi devono anche lavorare fuori casa. Il risultato sono donne stressate che mentre fanno l’amore pensano a come incastrare la prossima lavatrice con l’allenamento di pallavolo della secondogenita.

Il movimento delle trad wives nasce dalla legittima frustrazione di non farcela a fare tutto in questo sistema e, dato che i bambini non possono adoperare da soli i fornelli, bisogna optare per lasciare il lavoro. Un lavoro su cui magari abbiamo investito anni di studio. Forse per non pensarci in questi termini e buttarsi giù ci si inventa una retorica che romanticizza un sistema che ha reso le donne miserabili per decenni (consiglio qualsiasi film sui sobborghi statunitensi degli anni Cinquanta). Così come ogni tanto si romanticizza la figura della donna in carriera che vomita alla sola idea di avere una vita personale pur di non ammettere di assomigliare sempre più a uomini asserviti a un sistema capitalistico che non si presenterà al nostro funerale.

Consigli di visione
Revolutionary Road, 2008
The Stepford Wives, 2004
Blue Velvet, 1986
The Hours, 2002