Se mi commuovo per una giornalista
Quello che segue è un resoconto sentimentale di cui non intendo assumermi le responsabilità emotive.
Caterina Fassina
1/10/20254 min read
Non ho mai conosciuto personalmente Cecilia Sala. Ho letto il suo libro e ascolto il suo podcast, così come tanti di noi. Quando ho letto la notizia del suo sequestro da parte delle forze iraniane mi si è fermato il respiro. Ne leggo molte di notizie che mi lasciano amareggiata, ma ho una soglia di tolleranza elevata. Solitamente mi succede quando arrivano notizie dalle zone di guerra. Per quanto orrendo, l'arresto di una giornalista non può essere paragonato a migliaia di bambini che muoiono sotto le bombe. Mi sono chiesta le ragioni di questa nuova inquietudine e ho scoperto due ragioni.
Fino a qualche anno fa sognavo di fare lo stesso lavoro di Cecilia. Ci ho anche provato per qualche tempo, ma non ho retto all’impatto emotivo. Sono cresciuta con i libri di Oriana Fallaci - Niente e Così Sia è ancora il mio libro preferito -, ma non basta ammirare qualcuno per assomigliargli. La vita per me ha rivelato altri piani, ma continuo a stimare profondamente chi sceglie il mestiere della reporter in zone di guerra e quindi seguo Cecilia da anni. Ammetto con un po' di vergogna che mi fa un po’ sognare: mi permette di romanticizzare una vita che è stata per qualche tempo una possibilità anche per me.
Il secondo motivo che mi ha fermato il respiro è che Cecilia ha quattro anni in più di me. Ho letto un editoriale che lodava la sua giovane età. “Ha fatto così tante cose così presto” è un po’ il riassunto del pensiero che espone. Credo che se Cecilia avesse potuto evitarsi il carcere di Evin, l’avrebbe fatto. Non credo le servisse questo primato. Per niente. La sua età invece mi ha colpita proprio per il motivo opposto. Non ha solo quattro anni in più di me. Ha quattro anni in più di me e basta. Ha 29 anni, io ne ho 25. A Cecilia accadono le sventure - e anche le avventure, ma purtroppo non era questo il caso - che una volta potevano accadere solo agli adulti. Non è lei ad aver anticipato i tempi rispetto a noi suoi coetanei. Siamo tutti noi a essere ormai adulti.
A riprova di questa consapevolezza, mi sono confrontata sul sequestro con varie amiche (e amici. Al plurale metto dentro tutti) e ognuna confessava di essere angosciata. “Che ansia” è il commento che ho sentito e letto più spesso. Non “che incubo”, che avrebbe fatto intendere una qualche forma di ipotesi su cosa stesse passando Cecilia. Un incubo è orribile, ma implica una certa distanza con ciò che si immagina. “Che ansia” invece è una partecipazione emotiva tragica, la peggiore per la generazione di cui faccio parte. Avere l’ansia è un inferno per chi ha la mia età.
Su Twitter - mi rifiuto di chiamarlo X per ovvie ragioni - i miei coetanei chiamavano Cecilia “la cucciola”, che non significa considerarsi a vicenda ancora piccoli, ma piuttosto riconoscere una vicinanza anagrafica che annulla il cinismo. “Liberate la cucciola”, oltre a far ridere, è di una tenerezza immensa e trasuda un sentimento di protezione. E quindi cucciola diventa sinonimo di sorella, amica, compagna in questo bordello di anime in cui cerchiamo ostinatamente di lottare per vivere piuttosto che limitarci a sopravvivere. Cecilia con il suo podcast è una fondamentale compagna di strada, anche per chi, come me, non la conosce personalmente. Come lei tanti altri giornalisti, artisti e intellettuali considerati giovani e che purtroppo non posso elencare tutti.
Il terzo motivo per cui questa vicenda mi ha lasciato un segno che non penso si cancellerà mai l’ho capito quando Cecilia è stata liberata. Mia nonna si è affrettata su per le scale che ci separano, per quanto le sue gambe reggano, tenendo pure in mano due confezioni di pasta per le lasagne. “Cati, hanno liberato la Cecilia!” Stavo scrivendo il mio podcast, non avevo ancora visto la notizia sui social. Mi fa sorridere che me l’abbia detto lei che non possiede nemmeno uno smartphone. “Mi controlli la data di scadenza? È troppo piccola, non riesco a leggerla.” Mi ha allungato la pasta. Il 7 febbraio.
Nel pomeriggio ho visto tutti i video e le foto che sono circolati all'atterraggio di Cecilia a Ciampino. Mi ha commosso, oltre all'abbraccio con la sua famiglia, quello con Giorgia Meloni, donna di politica a me lontanissima. Eppure eccomi lì a tirare un sospiro di sollievo e a versare un paio di lacrime terapeutiche su un video in cui compare una sorridente Giorgia Meloni. L’onestà intellettuale è una fregatura, ma sarà la nostra salvezza. In quel momento mi sono accorta che questo senso di sollievo non era dato solamente dalla liberazione di Cecilia, ma anche dalle modalità della sua liberazione.
In questi 20 giorni siamo stati tutti bravi. Lo definirei un miracolo in questo Paese di anarchici. Giorgia Meloni ha fatto l’istituzione, ruolo che purtroppo si scorda spesso per soddisfare interessi di partito, così come molti esponenti di qualsiasi forza politica. A essere onesta fino in fondo, mi sono commossa nel sentire Meloni che, al tentativo di Cecilia di ringraziarla, le risponde: "Non devi dire nulla." Perché è vero e perché è istituzione, è lo Stato che fa il suo dovere, che tutela i propri cittadini, compresi quelli che nutrono idee diverse dal partito di chi è al governo in quel momento. Per farla breve, Meloni in quel video assomigliava più a Mattarella. Che meraviglia.
L’opposizione poi ha offerto la propria collaborazione, abbandonando anch'essa posizioni di bandiera. Sebbene questo aiuto non sia servito, l’offerta è stata importante e forse ha aiutato il governo a prendere la questione più seriamente.
I giornalisti per tutelare Cecilia hanno tenuto il silenzio-stampa per giorni pur sapendo cosa le era successo. Hanno dimostrato che sapere qualcosa non significa necessariamente doverla pubblicare.
I genitori di Cecilia sono stati monumentali, soprattutto sua madre Elisabetta. Non ha perso la lucidità ai nostri occhi nemmeno per un secondo. È stata un punto di riferimento anche per noi, gente qualsiasi. Questo non era scontato o dovuto. Così come non era dovuto neanche da parte di Mario Calabresi e dei ragazzi di Chora Media tenerci compagnia continuando il podcast di Cecilia, raccontandoci nuove storie come fa lei ogni giorno e tenendoci informati, quando si poteva, sugli sviluppi della vicenda.
A parte qualche inevitabile deficiente online, sono rimasta anche molto colpita dal tatto che persino la gente comune ha avuto sui social e al di fuori. Tanti hanno avuto la decenza di rispettare le volontà della famiglia, pure chi non si trova d’accordo con ciò che scrive Cecilia.
È stato un bel lavoro, è vero, ma è stato anche un bel modo di essere comunità. Questo è l’ultimo motivo per cui mi sono commossa: mi sono accorta che tutti noi apparteniamo e, forse per la prima volta (se escludiamo la nazionale e Sanremo), mi sono rallegrata del posto a cui appartengo.
Ovviamente l'idillio si è concluso in fretta e nel giro di 48 ore sono finita a litigare con Hipster Democratici, Dario e Paride, due uomini insoddisfatti sulla quarantina (un giorno scopriremo cosa succede alla maggioranza degli uomini tra i 38 e i 50 anni). Trovate le loro lacrime su Instagram. Per quanto mi riguarda, in fondo ho tirato un sospiro di sollievo, anche se mai mi sarei aspettata che uomini con scritto #ecosocialismo nella bio di Instagram mi potessero dare della troia per aver difeso un'altra donna. Non si finisce mai di imparare.