Billie Holiday: uno strano frutto

Voce rivoluzionaria del jazz e del blues, Billie Holiday ha sfidato il governo razzista degli Stati Uniti durante gli anni della segregazione.

Caterina Fassina

10/30/202414 min read

Federico Garcìa Lorca, poeta spagnolo del secolo scorso, ha scritto un breve saggio che si intitola Gioco e Teoria del Duende. Lorca cerca di capire cosa renda un artista tale. Arriva alla conclusione che i più grandi artisti siano abitati da un demone, il Duende, che gli permette di raggiungere una dimensione divina nel momento in cui fanno arte. In molti avevano già provato a spiegare cosa fosse più nel dettaglio questo Duende, ma nessuno lo aveva fatto in modo esaustivo. Lorca scrive che il duende è una forza, un potere. “Il Duende è un potere, non agire è un lottare, non un pensare. Ho sentito dire da un vecchio maestro di chitarra che il Duende sta nella gola. Il duende monta dentro dalla pianta dei piedi. Vale a dire, non è questione di capacità, ma di autentico stile vivo, vale a dire di sangue di antichissima cultura e al contempo di creazione in atto. Ogni artista sale ogni gradino della torre, della sua perfezione, al prezzo della lotta che sostiene con il proprio duende. Non con il proprio Angelo, come è stato detto, né con la propria Musa.”

Non è un Angelo, non è una Musa, perché questi due elementi provengono dall'esterno, mentre il duende vive già dentro l’artista. “I grandi artisti del Sud della Spagna, gitane o flamenchi che cantino ballino suonino, sanno che nessuna emozione è possibile senza l'arrivo del Duende.” L’artista che è abitato dal duende si fonde con la propria disciplina diventando altro da se stesso. Ogni aspirante artista vorrebbe averlo, ma spesso non sanno che averlo equivale il più delle volte a una condanna. C'è questa espressione che Lorca utilizza e che ci riporta direttamente al titolo del nostro Podcast:

“Il Duende ama il margine della ferita e si avvicina ai luoghi dove le forme si fondono in un anelito superiore alle loro espressioni visibili.”

Il Duende lavora con le ferite dell’artista e quindi ci vuole una disciplina severa per tenerlo sotto controllo. Per questo spesso gli artisti più talentuosi sono anche considerati i più dannati.

Ecco, alla luce del saggio di Lorca, lo scrittore Kenneth Tynan non ha dubbi: la protagonista della nostra storia il Duende ce l’aveva. Oggi vi racconto la storia di Billie Holiday.

Eleanora Fagan nasce il 7 aprile 1915 a Philadelphia. Sua madre è solo un’adolescente quando la partorisce. Cacciata dalla casa dei genitori perché rimasta incinta fuori dal matrimonio e abbandonata anche dal padre della bambina, che era un musicista jazz, riesce a riparare da una sorella a Baltimora. La piccola Eleanora cresce insieme alla madre in un quartiere povero ai margini della città. Non è un’infanzia serena. Alcuni uomini del quartiere approfittano di lei, lasciandole ferite profonde, altri la picchiano per strada. Il suo vocabolario è un ricettacolo di parolacce che assorbe dagli adulti intorno a lei. All’angolo della strada dove vive abita però anche una signora che fa suonare il giradischi tutto il giorno. È così che nel disagio Eleanora scopre la musica, l’unico grande amore della sua vita.

Dato che la madre lavora, la bambina passa molto tempo con la suocera di sua zia e salta spesso la scuola. Informati della situazione, i servizi sociali la spediscono in un riformatorio cattolico. Eleanora ha nove anni quando trascorre qui nove mesi, subendo angherie di ogni genere e rimanendo indelebilmente danneggiata. Le suore le fanno pure trascorrere una notte rinchiusa in una stanza insieme al cadavere di una ragazza. Pensavano di insegnarle a comportarsi bene. Per fortuna sua madre riesce a tirarla fuori da quell’inferno. È il 1925 e riesce ad aprire un piccolo ristorante dove lavora insieme a Eleanora, che presto abbandona la scuola.

Purtroppo i guai per la bambina non sono finiti. Un vicino tenta di stuprarla, ma la madre interviene prontamente riuscendo a farlo arrestare. A questo punto però la piccola viene affidata ancora a un riformatorio perchè testimone del caso. A dodici anni esce e trova lavoro come galoppina per un bordello: svolge commissioni e lava i pavimenti. Sono le prostitute a farle ascoltare i primi dischi di blues e jazz.

Eleanora cresce troppo in fretta e, seppur ancora una ragazzina, esce anche con personaggi poco raccomandabili, tra cui un uomo che gestisce un giro di prostitute e che la riempie di botte, convinto che alle donne piaccia mostrare i segni dell’amore malato sulla pelle. Eleanora ha solo 14 anni, già conosce il sesso come possessione cieca, il dolore della mancanza di affetto, i lividi che lascia una vita senza amore. Non è però una vittima e mai lo sarà, anche se così hanno cercato di rappresentarla. Eleanora è sempre stata una combattente e non si è mai arresa nemmeno di fronte al governo degli Stati Uniti, come vedremo più avanti.

Nonostante le difficoltà Eleanora ha un legame simbiotico con la madre e sente di doverla proteggere. Per tutta la vita cercherà un riscatto per entrambe, forse addirittura più per la madre che per se stessa.

Nel 1929 Eleanora si trasferisce ad Harlem con lei. Canta da sempre, ma non sa ancora di poter vivere di musica. È a New York che decide di diventare una cantante e inizia a lavorare nei nightclubs del quartiere accompagnata da un suo amico sassofonista. Si fa chiamare Billie Dove all’inizio, ma presto diventerà Billie Holiday, da Halliday, il cognome del padre, che riesce anche a incontrare per la prima volta perché suonava a New York con la band di Fletcher Henderson. Grazie alla musica i due legano - per quanto si riesca a legare con un padre che ti ha abbandonato.

Billie si esibisce nei nightclubs di Harlem, il ghetto più famoso del mondo, un quartiere destinato solo agli afroamericani, anche se i bianchi lo frequentano ogni sera in cerca di droghe, alcol e prostitute. Invadono il Cotton Club, uno dei nightclubs più famosi del quartiere, ascoltano musica e guardano afroamericani esibirsi sul palco. Billie ha 14 anni e canta indossando gardenie bianche tra i capelli, illuminata da una luce verde e circondata dal fumo delle sigarette. Si fa infilare le mance nelle giarrettiere per rendere il tutto più erotico. Dato che soffre un po' l'ansia da palcoscenico, inizia a fumare marijuana per combatterla. È il suo primo approccio con la droga, anche se all’epoca la marijuana è legale e sono molti i musicisti a usarla.

Dopo quattro anni di gavetta il producer John Hammond la nota. Eleanora, che d’ora in poi chiameremo Billie, ha solo 18 anni quando le viene offerto il suo primo contratto discografico.

Hammond è estasiato dalla capacità di Billie di improvvisare, di variare la voce sulle note del jazz. Crede che Billie canti come Louis Armstrong suona la tromba. Molti anni dopo dirà che ciò che lo attirò verso quella ragazza fu che cantava come stesse in realtà improvvisando una melodia con uno strumento a fiato. Billie ha una voce tutta sua, molto riconoscibile, tant’è che i musicisti iniziano a chiamarla Lady Day. Per fare un paragone noto a noi italiani, potremmo accostarla a Ornella Vanoni; potremmo sentirla canticchiare in lontananza e senza nemmeno capire le parole sapremmo che stiamo ascoltando la Vanoni. Con Billie è lo stesso. Lei stessa dichiara di non voler imitare le cantanti jazz già famose, ma piuttosto gli strumenti musicali che le accompagnano. Tratta le sue corde vocali come fossero parte di un’orchestra, che poi è esattamente quello che sono.

Il primo disco che Hammond produce non ha un enorme successo, ma riesce a vendere qualche copia. Registra anche due canzoni con Benny Goodman, che non aveva mai registrato con artisti afroamericani per paura di perdere lavoro. Tuttavia, con Billie ci va a letto e non riesce a dirle di no. Per i bianchi frequentare Harlem la sera è un sinonimo per musica e sesso: Goodman non è un’eccezione.

Nel 1935 Billie recita anche in Symphony in Black un corto sulla condizione degli afroamericani negli Stati Uniti scritto e diretto dal musicista (e mostro sacro) Duke Ellington. Nello stesso anno la sua interpretazione della canzone What a Little Moonlight Can Do la consegna al successo discografico.

Billie è un talento naturale e non ha mai studiato musica, così come moltissimi artisti afroamericani del periodo. Arriva in studio con i suoi musicisti e senza alcuno spartito o testo. Tutti improvvisano e in questo modo abbattono anche i costi di produzione.

Billie riesce anche a registrare insieme al suo grande mito Louis Armstrong, che scrive Blues and Brewing e le permette di cantarla sul palcoscenico insieme a lui e alla sua orchestra, oltre che a registrarla audio e video.

Entra poi a far parte della band di Count Basie, formata da soli afroamericani. Billie però è sì afroamericana, ma la tonalità della sua pelle è più chiara dello stereotipo. Il suo agente le compra quindi un fondotinta più scuro in modo tale da rinforzare la differenza etnica. Lei non ne è molto felice, ma acconsente a usarlo.

Nel frattempo suo padre muore. Soffriva di una patologia ai polmoni, probabile conseguenza del gas che aveva inalato servendo l’esercito americano durante la Prima Guerra Mondiale. Contrae una polmonite in Texas, stato dove la segregazione è la norma, e i medici si rifiutano di trattarlo perché è di colore. Viene lasciato morire. Billie racconta questo episodio con profonda acredine verso la segregazione che divide gli Stati Uniti in cittadini che meritano di vivere e altri di cui la morte non è considerata un problema. Questo sentimento di rabbia si risveglia in questa occasione e non si spegnerà mai più, ma questo lo vedremo dopo.

A questo punto della sua carriera Billie inizia a trovarsi a dover competere con le stelle della musica afroamericana, una su tutte Ella Fitzgerald. La notte del 16 gennaio 1938 Ella e Billie si sfidano al Savoy insieme alle loro bands. In realtà nessuna delle due è a capo delle bands con cui cantano: erano ancora solo due cantanti, non ne erano star. La battaglia musicale è talmente entusiasmante che i giornali la mattina dopo non sono d’accordo sulla vincitrice: chi dice Ella, chi invece Billie. Il pubblico presente però aveva già decretato vincitrice Ella, anche se di poco.

Dopo delle incomprensioni con Count Basie, Billie entra nella band di Artie Shaw, dove i musicisti sono tutti bianchi. Non era mai successo prima. È la prima cantante afroamericana ad andare in tour con una band del genere nel Sud degli Stati Uniti, dove l’odio per gli afroamericani è una religione. Quando al Sud si esibisce insieme ad altre cantanti bianche, Billie non può sedersi accanto a loro o avvicinarle nei camerini. Spesso viene insultata appena sale sul palco da alcuni membri del pubblico. Uno sceriffo le urla “puttana negra” e lei gli si lancia addosso prima di essere buttata fuori dal locale. Trovare poi un hotel dove possa passare la notte è un’impresa: non può soggiornare negli hotel dei bianchi. Non può nemmeno cenare con i membri della sua band. Artie viene anche costretto ad assumere una cantante bianca con cui Billie odia dividere il palco. A causa del colore della sua pelle i produttori non le permettono nemmeno di registrare. Esiste infatti solo un singolo di questo periodo. Quando al Lincoln Hotel di New York le chiedono di cambiare ascensore perché degli ospiti bianchi si sono lamentati, Billie lascia la band definitivamente.

In ogni caso la sua fama accresce grazie a due canzoni, la prima è come abbiamo detto What a Little Moonlight Can Do e l’altra è Easy Living. Vengono riprese e riarrangiate anche da altri musicisti tanto da diventare pietre miliari del jazz.

Ma è nel 1939 che Billie Holiday diventa un’icona mondiale e un punto di riferimento per la lotta afroamericana contro la segregazione. Abel Meeropol aveva scritto una poesia sul linciaggio dei neri. Abel è un ebreo bianco statunitense, membro del Partito Comunista e professore in un liceo del Bronx. Abel aveva poi trasformato la poesia in una canzone che era diventata popolare tra gli insegnanti che aderivano al sindacato e che la cantavano durante le assemblee.

Il linciaggio degli afroamericani nel Sud del paese è una ferita che ancora sanguina. I bianchi razzisti uccidevano gli afroamericani e li appendevano agli alberi. I linciaggi erano pubblici in modo da infondere terrore negli afroamericani e rinforzare la segregazione razziale. Si stima che in questo modo siano morti 4,400 uomini, donne e bambini afroamericani, ma probabilmente sono molti di più.

Il proprietario di Cafè Society, un nightclub al Greenwich Village rimane colpito da questa canzone e chiede a Billie di portarla sul palco. Il titolo della canzone è Strange Fruit, strano frutto. Billie accetta di cantarla perché le ricorda della morte di suo padre, ma è terrorizzata dalle possibili ripercussioni. Il proprietario di Cafè Society chiede ai camerieri di far calare il silenzio in sala non appena salirà Billie sul palco. Vuole che tutti ascoltino. Abbassano le luci e Billie inizia a cantare un testo truce con una voce spezzata dalla malinconia. Traduco la prima strofa.

Gli alberi del sud portano uno strano frutto,

Sangue sulle foglie e sangue alla radice,

Corpi neri oscillanti nella brezza meridionale,

Frutto strano appeso ai pioppi.

Immaginatevi la sala: è tutto buio e c’è solo un occhio di bue su questa esile figura che canta questi versi a occhi chiusi. Sedici anni prima di Rosa Parks, Billie Holiday sfida ogni sera il governo usando un palcoscenico e la sua voce.

Billie cerca di incidere Strange Fruit con la Columbia Records, che nel frattempo è diventata la sua casa discografica. Ovviamente i produttori si rifiutano un po’ per paura di ripercussioni politiche, ma anche perché già sanno che nessuna radio la trasmetterà. Billie si rivolge quindi a un amico, Milt Gabler, produttore di jazz alternativo. Insieme ingaggiano la band del Cafè Society e registrano il singolo. Vendono un milione di copie solo nel 1939. Il Time l’ha definita “la canzone del secolo”: certamente lo è stata per gli Stati Uniti.

Billie diventa famosissima, ma ai razzisti bianchi che stanno al governo Strange Fruit dà fastidio. Harry Aslinger, commissario dell’Ufficio Federale della Narcotici, la inquadra nel suo mirino. Aslinger è un noto razzista che sostiene che i musicisti afroamericani siano tutti drogati che sfidano il potere creando la musica del diavolo. Ricorda politici nostrani. Aslinger vieta a Billie di cantare Strange Fruit, ma lei si rifiuta stoicamente di dargliela vinta. Aslinger però sa che Billie ha una dipendenza da eroina.

Mentre Aslinger escogita un piano per bloccarle le corde vocali, Billie è diventata una star. Riesce a guadagnare abbastanza da aiutare sua madre. La toglie dal bordello in cui era costretta a lavorare dopo che il ristorante era fallito e le presta i soldi necessari ad aprirne un altro.

Oltre alle droghe e all’alcol, l’altra grande dipendenza di Billie è il sesso. Un suo amante ricorda che avrebbe potuto uscire con una ragazza, andare in un bordello più tardi e il giorno dopo andare a letto anche con lui. Le donne la chiamano affettuosamente Mr. Holiday. La stragrande maggioranza delle sue relazioni sono però tossiche e piene di abusi emotivi. Billie cerca di redimere in qualche modo la sua infanzia, ma finisce per impantanarsi in vecchi schemi. Durante gli anni Trenta Sonny White, anche lui musicista, le chiede di sposarlo. È una delle poche relazioni con un uomo che non la umilia e forse per questo Billie rompe il fidanzamento per mettersi con il musicista Jimmy Monroe, che sposa nel 1941. Sua madre lo odia profondamente perché è un pimp, protettore, uno che gestisce i giri di prostituzione.

Monroe la introduce alle droghe pesanti: oppio e cocaina. I due litigano spesso e lei finisce per tradirlo con un altro musicista, che è anche il suo spacciatore. Divorzia nel 1947 e anche la relazione clandestina finisce male. Billie tendenzialmente porta nel suo letto musicisti che suonano con lei perché sono gli unici che non osano mettere in dubbio la sua professione. Non le chiedono di smettere, di cambiare vita. Purtroppo però la usano anche per i propri comodi, facendosi mantenere e intessendo relazioni professionali per se stessi.

Nel 1946 Billie viene scritturata a Hollywood per un film insieme a Louis Armstrong. La sceneggiatura ammetteva apertamente che i musicisti afroamericani avessero inventato il blues e il jazz. Per questo motivo lo sceneggiatore Herbert Bieberman subisce pressioni per ridurre le parti dei due musicisti. Bieberman si rifiuta di cambiare la sceneggiatura e viene inserito dal senatore McCarthy nella lista dei cosiddetti “Hollywood Ten”, la lista nera degli artisti sospettati di essere spie comuniste e di voler inculcare la dottrina marxista nel pubblico statunitense tramite il cinema. E se Bieberman è nel mirino del maccartismo, figurarsi Billie che continua a cantare Strange Fruit.

In tutto questo clima politico e sociale, lei continua ad avere un enorme problema con l’eroina. Sul set gliela porta uno dei suoi amanti, causando non pochi problemi e ritardi nella produzione. Riesce comunque a concludere il film e a raggiungere con esso il picco del suo successo commerciale.

È in questo momento che Aslinger ripiomba nella sua vita e la incastra con una falsa vendita di eroina. Billie viene incriminata, dando il via al processo “Gli Stati Uniti contro Billie Holiday”, titolo di cui Billie sente tutto il peso. È un sistema corrotto, razzista e sessista contro una persona afroamericana proprio perché è afroamericana. Il suo avvocato non si presenta nemmeno al processo. Billie finisce in prigione per un anno e mezzo.

Viene rilasciata nel 1948 e le viene rifiutata la licenza per cantare nei nightclubs. Può però ancora fare concerti. Il suo agente organizza un concerto al Carnegie Hall, uno dei più importanti teatri di New York. Vuole che torni in grande stile. Billie intreccia una gardenia con i suoi capelli e sale sul palco. Peccato che la gardenia abbia una spilla e che Billie se la ficchi dritta nella testa. Mentre è sul palco sente il sangue bagnarle gli occhi e le orecchie. Solo a quel punto sviene. È il suo duende che la trascina non appena sente una nota: le tende una mano per evadere dal dolore tanto da non sentire nemmeno una ferita fisica. Tutta la sofferenza svanisce. Nonostante questo piccolo inconveniente, Billie canta Strange Fruit sfidando il sistema nonostante avesse appena messo piede fuori dalla cella.

In un’intervista Billie dice che tutto ciò che canta deve avere a che fare con lei, con la sua vita o quella dei suoi amici. Ciò che canta deve avere un significato che risuona nella sua esperienza, che lei riconosce come autentico.

Billie però non riesce a tornare davvero dalla prigione. Non è più quella di prima, comprensibilmente. Non che il sistema l'aiuti. Nel 1949, un anno dopo Carnegie Hall, Billie viene arrestata. Questa volta è George Hunter White, letteralmente Giorgio Cacciatore Bianco. Un nome, una garanzia. Non resta molto in prigione, ma ricomincia a farsi di eroina. A causa della sua reputazione le radio iniziano a non trasmettere più le sue canzoni e Billie perde soldi, i risparmi li spende in droghe e alcol. Nel 1956 torna a Carnegie Hall con due concerti sold out che vengono registrati e pubblicati dopo la sua morte. Nel 1958 le royalties sui suoi singoli le fruttano però solo 11 dollari. Cerca di recuperare con un tour in Europa a metà degli anni Cinquanta e pubblica un’autobiografia, scritta in realtà da un ghostwriter.

L’anno successivo sposa un galoppino della mafia, Louis McKay, un uomo parecchio violento. Si separano poco dopo, ma McKay fa in modo di iniziare una collana di registrazioni di Billie per arricchirsi sulle sue spalle. Tutti gli uomini della sua vita la spremono per poi abbandonarla.

In una delle sue ultime registrazioni le viene scattata l’ultima foto che abbiamo di lei la ritrae in uno studio di registrazione con un liquore in mano e lo sguardo basso, triste, rassegnato.

Nel 1959 gli unici amici sinceri che le sono rimasti riescono a farla ricoverare con problemi ai polmoni e al cuore. Soffre anche di cirrosi epatica per l’abuso di alcol. È emaciata, l’ombra di se stessa. La sua voce è aspra, quasi un soffio.

Aslinger, venuto a conoscenza del ricovero, la fa ammanettare al letto e proibisce ai medici di curarla. Vanno a trovarla di nascosto alcuni musicisti parecchio famosi di cui i nomi sono emersi solamente due anni fa. Tra di loro anche Frank Sinatra, che pare le abbia promesso di procurarle l’eroina da cui era in astinenza.

Billie Holiday, Lady Day come viene affettuosamente ricordata, muore a soli 43 anni ammanettata a un letto di ospedale con l’unica colpa di aver denunciato un sistema profondamente ingiusto. È il 17 luglio 1959, solo pochi mesi prima che inizino gli anni Sessanta. Solo pochi anni prima delle marce del movimento per i diritti civili, dell’assassinio di Martin Luther King e di Malcolm X.

McKay le ha prosciugato il conto e quando muore Billie ha solo 40 cents in banca (oggi sarebbero poco più di 7 dollari). Il suo amico Gilbert Millstein la descrive così: “Cinica, sentimentale, profana, generosa e immensamente talentuosa”.

La maggioranza dei suoi dischi non veniva più stampata già da prima della sua morte. Due anni dopo però viene inserita dal magazine DownBeat nella Hall of Fame e la Columbia Records coglie l’occasione per ristampare un centinaio di suoi singoli d’esordio. Dopo la sua morte, Billie riceve 23 nominations ai Grammy Awards. La maggioranza dei riconoscimenti Billie li incassa quando ormai la segregazione negli Stati Uniti è formalmente finita. È forse una piccola e magra consolazione. Nel 1972 Diana Ross indossa i suoi panni nel film “Lady Sings the Blues” e viene nominata agli Oscar come miglior attrice protagonista.

Solo ultimamente ho scoperto che Billie Holiday non è molto conosciuta purtroppo. Io sono una grande amante della musica, jazz e blues sopra ogni altra cosa, e mi ero comprata un CD di Billie Holiday a due euro quando ero ancora al liceo quindi per me lei era cosa quotidiana. Non ricordo il primo momento in cui l’ho ascoltata cantare, ma ogni volta che l’ascolto il mondo intorno a me gira un po’ più lentamente perchè niente mi pare più vero di quel momento. Non può che essere così quando il Duende invade tutto ciò che tocca l’artista in cui abita. Vi consiglio di ascoltarvela tutta Billie Holiday.

Gli U2 hanno scritto Angel of Harlem proprio per lei nel 1988. Un verso della canzone recita:

“Lady Day ha gli occhi di diamante, vede la verità dietro le bugie.”

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